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Fabio Franchi
Fabio Franchi

Fabio Franchi

Qualifica Extraordinary:  NLP & Extraordinary Coach

Settore Coaching:  Business

Altre lingue parlate:  Inglese

Fascia prezzo: €€€
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Altre qualifiche

N.A.P. PRATICTIONER (Esperto in Neuro Agilità Organizzativa) – FACILITY MEDIANOS (metodo di gestione dei conflitti)

Mi presento

Prima manager e poi imprenditore nel mondo turistico alberghiero, con oltre trent’anni d’esperienza presso player di rilevanza nazionale. Passione e consapevolezza dei propri talenti sono garanzia di performance eccellenti e durature nel tempo, sia in ambito professionale che personale. Se non sai dove sei non puoi andare dove vuoi. Per questo ho sviluppato modelli e strumenti personalizzati per allenare individui, manager e aziende nello sviluppo del capitale umano. Ogni percorso è sinonimo di qualità perché è misurabile e unico. Il tempo giusto per evolvere è adesso.

I miei articoli su Coachee


Così non va! Bisogna cambiare.

Quante volte avete ascoltato o detto questa parole? I manager, gli amministratori delegati e gli imprenditori illuminati, vedono e ascoltano i sagnali che impongono modifiche e  sanno – nel loro intimo – che “il cambiamento” non necessariamente, è in meglio. Infatti il coaching, quello ben fatto, non parla di cambiamento, se non in senso “generativo” e quindi – in sostanza – è più utile e funzionale parlare di miglioramento. Nello stesso modo perseguire un obbiettivo e poi sentire d’averlo raggiunto è certamente importante, ne va nel buon esito delle proprie performance. Qui è utile considerare che la cosa fondamentale è quella di definire il proprio scopo: gli obbiettivi, sono la conseguenza. Sapere cioè, il perché si fa quello che si fa è come realizzare un puzzle. Definita la cornice (scopo), una alla volta, tutte le tessere vanno a posto: obbiettivi, comportamenti e azioni. L’obbiettivo è quindi il “come”, lo scopo è il “perché”. Quando sai il perché, tutto diventa più facile, si entra nel “flow” e si crea quell’effetto domino, che partendo da un piccolo miglioramento ha ricadute su tutte, o su molte, delle altre area d’influenza. Le sfide del nostro mondo, in continua e vorticosa trasformazione, fanno pensare che nei momenti di crisi, come quello che stiamo vivendo, sia utile e opportuno farsi affiancare da un Coach. Giusto e soprattutto utile e lungimirante: c’è una “minaccia” e io reagisco trovando una soluzione. E quando le cose vanno bene? Ancora una volta i manager, gli amministratori delegati e gli imprenditori illuminati, sanno che è soprattutto quando le cose vanno bene che è importante migliorarsi e quindi farsi supportare. Diventano così pro-attivi, anziché reattivi. Anticipano, si preparano e così esprimono la loro leadership, creando valore per se e per gli altri, trovandosi sempre un passo avanti. Se quanto sopra, ha senso, probabilmente significa che condividiamo lo stesso modo di vedere, d’ascoltare e di percepire, quanto c’è di straordinario (cioè, oltre l’ordinario) nel modo d’affrontare le sfide: siano esse personali o professionali. Fare e tantomeno promettere miracoli, non è il mestiere di un buon Coach: individuare e supportare efficacemente il percorso di miglioramento e il processo per raggiungere il massimo livello delle proprie capacità di performare o di quelle del proprio team, invece SI, è quello, il compito di un Coach degno di questo nome.

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Riunirsi o non riunirsi? Cosa centra la legge di Metcalfe

La legge di Metcalfe (anche detta principio della massa critica) afferma che “l’utilità di una rete è uguale al quadrato del numero di utenti che la utilizzano”. Il diagramma di tale legge, in virtù del suo andamento quadratico (2 utenti = utilità 4; 3 utenti = utilità 9; 4 utenti = utilità 16, ecc), ha un punto straordinario, in corrispondenza del quale la curva della tecnologia (in questo caso della rete) raggiunge la massa critica. Da quel punto in poi, ma solo da quel punto in poi, il suo valore cresce esponenzialmente!  (Cit. Valerio Melandri) Qual è però il lato oscuro della legge di Metcalfe secondo l’Harvard Business Review? Poiché il costo incrementale delle comunicazioni uno-a-uno e uno-a-molti è diminuito, il numero di interazioni si è radicalmente moltiplicato. Molti dirigenti ora ricevono circa 200 e-mail al giorno, più di 30.000 all'anno, e il crescente utilizzo di applicazioni di messaggistica istantanea e crowdsourcing promette di aggravare il problema. Se la tendenza non viene controllata, i dirigenti presto trascorreranno più di un giorno alla settimana solo a gestire le comunicazioni elettroniche. Il tempo trascorso in riunione ha subito un incremento enorme. Anche i dirigenti partecipano a più riunioni. Questo in parte perché il costo dell'organizzazione è diminuito e in parte perché è molto più semplice che in passato per i partecipanti partecipare tramite telefono, videoconferenza, condivisione dello schermo e simili. In media, i dirigenti senior dedicano più di due giorni alla settimana a riunioni che coinvolgono tre o più colleghi e il 15% del tempo collettivo di un'organizzazione viene dedicato alle riunioni, una percentuale che è aumentata ogni anno dal 2008. Un interessante studio riportato su Ideas.Ted.com riguardo l’efficacia e l’utilità dei meeting afferma che 9 persone su 10 pensano ad altro, nel 25% dei casi si parla di fatti poco rilevanti, il 50% delle persone trova le riunioni una perdita di tempo, il 73% dei partecipanti durante le riunioni fa altro (generalmente risponde alle e-mail). E c’è di più. Negli Stati Uniti, ma da noi la situazione non è dissimile, gli impiegati partecipano ad una media di 62 riunioni al mese, per gli executive si arriva ad un 50% del proprio tempo, circa 23 ore a settimana. Inoltre, ameno 7 o 8 di queste ore, vengono spese per meeting assolutamente non necessari. Stiamo cioè parlando di 2 mesi di lavoro all’anno sprecati per ogni executive. Allora che fare? Eliminiamo questo strumento dalla nostra routine lavorativa? Direi di no, nell’attuale panorama lavorativo che corre sempre più velocemente ed è sempre più complesso, lo scambio di parerei è fondamentale affinché un numero sempre maggiore di persone possano condividere le informazioni Un management di qualità dovrebbe quindi porsi le seguenti domande prima d’indire una riunione: è davvero necessaria? qual è lo scopo? qual è l’obbiettivo finale? è meglio farla in presenza o da remoto? chi è utile/indispensabile che partecipi? Può sembrare scontato ma il semplice porsi le domande di cui sopra, ridurrà in maniera sensibile il numero di meeting e di conseguenza aumenterà l’efficacia degli stessi e la produttività dei singoli e del gruppo. Qualche suggerimento per gestire al meglio le riunioni. Se si tratta di meeting d’aggiornamento e/o condivisione di problemi da gestire: agenda breve e stringata che deve essere anticipata ai partecipanti almeno 24 ore prima 20’ minuti al massimo di durata (farle “scomode”, ad esempio in piedi, ne garantisce la brevità) mantenere il focus sulla motivazione per cui è stata indetta la riunione evitare tematiche non pertinenti o che esulano dal contesto (se emergeranno saranno oggetto di altro meeting) evitare di prendere decisioni (la riunione è a carattere d’aggiornamento o condivisione, le decisioni sono di competenza di un gruppo ristretto e vanno prese in separata sede) il problema oggetto dell’incontro deve essere stato analizzato prima e quindi soltanto esposto non esaminato durante l’incontro Se invece si tratta di riunioni per prendere decisioni mettendo insieme i diversi reparti interessati ecco i suggerimenti mutuati da Jeff Bezos: invita solo le persone realmente indispensabili (più grande è il team, maggiore è il numero di opinioni e più difficile diventa trarre conclusioni e prendere decisioni. E se ad alcune di quelle tante persone piace solo ascoltare il suono della propria voce, i tuoi incontri sono destinati a rubare tempo) niente PowerPoint, ma un memorandum di massimo sei pagine... strutturato in modo narrativo (contiene frasi reali, frasi tematiche, verbi e sostantivi, non solo elenchi puntati. I promemoria efficaci vengono scritti e riscritti, condivisi con i colleghi a cui viene chiesto di migliorare il lavoro, messi da parte per un paio di giorni e poi modificati di nuovo con mente fresca) inizia con il silenzio (tutti si siedono attorno al tavolo e leggono in silenzio il documento, di solito per circa mezz'ora, e poi s’inizia la discussione. Così si evita il rischio che qualcuno “finga d’aver letto in anticipo il promemoria e non sia realmente preparato) Come avrete certamente capito c’è un’infinita letteratura riguardo la gestione delle riunioni e allo stile d’esecuzione e conduzione. Personalmente credo che vi siano utili line guida che vanno tenute presenti e poi adattate alle singole realtà e al proprio stile di leadership. Qui ho cercato di fornire qualche spunto di riflessione e di riportare alcuni suggerimenti, che ho personalmente sperimento in varie occasioni traendone beneficio. Mi auguro siano utili anche per voi.

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Edonica vs Eudaimonica

Queste due grandi distinzioni compaiono in occidente nelle scuole filosofiche dell’Antica Grecia e più precisamente la felicità come edonia/piacere da Aristippo e i cirenaici, e la felicità come eudemonia/autorealizzazione da Socrate, Platone ed Aristotele. Questi due concetti vengono poi ripresi e approfonditi anche dalla Psicologia Positiva. Lo psicologo Alan S. Waterman definisce l’edonia come semplice piacere e l’eudaimonia come espressione del sé. La prima individua lo scopo della vita nello sperimentare al massimo livello il piacere e la felicità quale risultato della somma dei singoli momenti edonici, mentre la seconda va oltre al concetto di felicità e viene accostata al benessere in senso lato, inteso – secondo Ryan, Huta, e Deci, 2006 - come il risultato dell’inseguimento e raggiungimento di obiettivi positivi. Il benessere sarebbe quindi un processo di realizzazione personale e non il risultato o uno stato finale. In sostanza realizzando il proprio “vero sé” si svolgeranno attività profondamente congruenti ai propri valori e alla propria natura e in grado di impegnare e coinvolgere in modo olistico, così da sentirsi vivi e autentici. Infatti, secondo Csikszentmihalyi, l’essenza della felicità secondo la visione eudimonica, si raggiunge con lo stato di Flow: “E’ lo stato in cui una persona è così impegnata in un’attività che nient’altro sembra importante”. Genera: altissimi livelli di concentrazione sull’attività che si sta svolgendo; irrilevanza per i problemi e qualsiasi altro pensiero al di fuori di quell’attività; il miglior stato emotivo possibile. Per chi come me si è formato all’Extraordinary Coaching School di Claudio Belotti, questi concetti sono basilari quando si lavora con un cliente. È come la differenza che intercorre tra realizzare un obbiettivo e perseguire il proprio scopo. Non necessariamente raggiungere un risultato ci garantirà la felicità. È il perseguire il nostro scopo, assecondano i nostri talenti che ci garantirà la vera soddisfazione. Quando si lavora con un “Coachee” nell’area business accade di frequente di sconfinare nel personale o viceversa. I ruoli vanno bene e sono sacrosanti ma devono essere integrati tra loro, altrimenti si rischia una “felicità edonica” anziché quella “eudaimonica”.

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È difficile andare dove vuoi se non sai da dove parti.

Se non sei convito che quest’affermazione sia vera, basta che pensi al tuo navigatore satellitare. Se non ha la tua posizione di partenza come può indicarti il percorso da fare per raggiungere la tua destinazione? Questo vale in ogni campo, personale o professionale che sia. Per ottenere performance eccellenti e durature nel tempo, bisogna sapere da dove partiamo. In sostanza ci vuole un metodo, uno strumento che ci consenta di: fare “il punto nave”, sapere dove siamo; stabilire la direzione, dove vogliamo arrivare e soprattutto il perché lo vogliamo; stabilire quale/i obbiettivo/i dobbiamo raggiungere per ottenere il risultato voluto. Ci sono molti modi per fare questo. Possiamo ad esempio usare la “tecnica dello scalatore”, si parte quindi dalla vetta da conquistare e poi con una visione dall’alto – cioè più ampia – si percorre a ritroso il percorso, fissando tutte le tappe intermedie e le risorse necessarie a raggiungere la cima della montagna. Io, come punto di partenza, nelle mie sessioni di coaching, uso sovente la  NeuroAgilità™: uno degli strumenti più utili ed efficaci per ottenere i risultati voluti. Certo come anticipato prima, non è l’unico strumento, ma essendo basato sulle neuroscienze è certamente un metodo scientifico e facilmente misurabile. A questo punto mi domando se sei curioso di sapere in cosa consiste. Nel caso in cui lo fossi, proverò a sintetizzare qui di seguito e per sommi capi come funziona. Primo, come detto si fa “il punto nave". Attraverso il N.A.P. (Neuro-Agility Profile®)  un assessment non psicometrico, ciascuno avrà la consapevole di quali sono le sue caratteristiche neurologiche, di quanto è flessibile e quindi in grado d’adattarsi a situazioni nuove imparando velocemente e soprattutto,  di cosa può fare per migliorare le sue performance. Secondo, si stabilisce la “direzione”, cioè ci si allinea al/i proprio/i ruolo/i tenendo conto dei propri talenti e delle proprie uniche peculiarità. Terzo, si definisce/ono l’/gli obiettivo/i, attraverso un metodo misurabile e un costante follow-up per raggiungere i risultati voluti. Quindi ricorda, se non sai dove sei, non puoi andare dove vuoi! Se vuoi saperne di più puoi prenotare la tua sessione gratuita, online.

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